Professionista
dalle cifre sedotta
sempre vincente
in partita doppia
Sai far cantare
i numeri in coro
e incolonnarli
con grande decoro.
Sai raggiungere
la tua missione
con implacabile
precisione.
Sai fare tutto
ti manca qualcosa
...vestirti talvolta
color mimosa!
Come siamo fortunati ad esser operai, fratelli!
Com’è bello rimpinguare, per allontanare le miserie,
Il fraterno budget con i risparmi del mese,
Come l’ape riempie col suo miele l’arnia!
Oh! Questo frutto del lavoro è un sublime tesoro!
Quando la morte sceglie per vittima uno di noi,
Quando la malattia si aggrappa al suo letto
Il padre stremato che sragiona ed impallidisce,
La fame, l’orribile fame dalle pupille stravolte
Mostro che veglia alla soglia di tutte le mansarde,
O fratelli, non viene, tra le sue braccia soffocanti,
Stringere la nostra sposa e uccidere i nostri figli.
Questo oro è sempre là per salvaguardare le nostre famiglie
Per vestire l’orfano, e affinché le nostre giovani figlie
Non vadano, per un po’ di pane, vendere al ricco sfrontato
La calma dei loro giorni e la loro verginità.
Come siamo fortunati ad esser operai! La vita
Ci riserva delle dolcezze che più di un principe ci invidia
Al mattino, sui tetti, con gli allegri uccellini,
Noi cantiamo il sole che sorge dal seno delle acque,
Che, sommergendo questi tetti d’un mare di luce,
Muta in cornici d’oro i loro cornicioni di pietra,
E sembra riscaldare coi suoi raggi benedetti
La tegola, fragile sporgenza dove trovano riparo i nidi.
Noi spiamo impazienti le bellezze a cui l’anima e la finestra
Sembrano aprirsi sbocciando al giorno nascente;
E, dall’alba alla notte, l’ala dei nostri ritornelli / Ghermisce
nel suo volo i nostri mali e le nostre preoccupazioni.
Celebriamo, benediciamo il giorno che ci illumina,
Poiché il Cristo lo scelse per lasciare la terra
Per andare, nel cielo, ad offrire all’Onnipotente
Il cuore del genere umano, che ripulì col suo sangue,
Noi, lo abbiamo scelto, perché le nostre scale
Permettono anche a noi di avvicinarci alle volte celesti
Perché sui nostri ponteggi appesi alle facciate,
sembriamo degli uccellini persi nello spazio.
E, per consolidare questo nascente avvenire, fratelli
Non risparmieremo né le nostre braccia né il nostro sangue
Istruiamoci: i mali sono figli dell’ignoranza
Lavoriamo: il lavoro dona l’indipendenza.
Amici, io non sono uno di quelli insensati
Che predicano il lavoro con le braccia incrociate;
Il mio lavoro mi nutre, e il mio più nobile elogio,
E’ il rumore sordo che fa la mia cazzuola nel secchio.
La sera, quando voi vedete volar via pian piano
Sugli sbuffi di tabacco, le fatiche del giorno,
Che siano da voi scelti dei libri di scienze e di storia
Affinché i loro fecondi tesori entrino nelle vostre teste
Attingeteci là il segreto dei vostri diritti: i tiranni
Oppressero solo cervelli ignoranti
L’ignoranza bloccò il carro dell’industria
Oh! Coltiviamo gli studi e amiamo la patria
Speriamo tanto che sul mare dei mondi al lavoro
Del vascello dei progressi Dio tenga sempre il timone.Dal 14 settembre è decollata la nuova stagione della Stanza della Poesia a Genova - Piazza Matteotti 78r -
per l'occasione si è tenuta una lettura collettiva intorno al tema della Bellezza a cui ero stato invitato e per motivi familiari ho dovuto marinare.
Bellezza
Tu sei le mille e mille gemme
Incastonate nei ricordi
E il fremito che desta
Quando riappari tra i refoli improvvisa
Cuci e ricuci il sogno alla mia vita
Lasciando poi strascichi di vuoto immensi
Bramerei sempre da te l'ultima carezza.
M i O pprimi B effandomi B rigando I ngrato N uove G ogne |
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S olo T ra R isme A ccatastate O bbligato R egolarmente D a I ncarichi N uovi AR iordinare I mprobabili O rganigrammi |
Il mio tempo è finito
L’arbitro ha fischiato
La palla è sul dischetto
Sarò cassintegrato
Ringrazio i miei padroni
Sarò per sempre grato
Per tutto questo tempo
Di avermi stipendiato
Ringrazio il sindacato
Per avermi supportato
E da questo incubo
Proficuamente liberato
Risusciterò altrove
All’aratro intento
Tra le messi e il sole
Sarò certo più contentoLa liturgia s’impone
deraglia la parola
scricchiola quel ponte
di reiterati gesti
e di fiducia.
Il singolo scompare
svuotato
il suo valore
e l’anima s’invola.
Solo la massa
tesserata
conta.
Dovrai operare anche a cuore aperto
dentro disfatti corpi
e renderli possenti e forti
certo fecondi.
Sarà il tuo gesto
a generare nuova linfa
e a ripristinare il flusso
che conduce luce
e rivitalizza il tutto.
Saranno gesti
che reclameranno gloria
ma se avrai dimenticato cautela e guanti
noie e dolori
resteranno per sempre incisi
alle tue carni.
Dal mattino
alla sera
cerco
sempre
qualcosa
qualcuno.
Cerco
risposte
sui ruoli
coperti
e scoperti
macigni
ingombranti
del viaggio.
Cerco
l’essenza
ultima e chiara
dei passi già fatti
e di quelli da fare
di quelli reali
o solo venduti
insiemi ai sorrisi
e ai saluti scaduti.
Cerco i perché
mai risposti
sui gesti
sui nomi
sulle date
scolpite sul marmo
sulle scelte
definitive
del cielo.
Cerco
nella ansia sudata
dei giorni
le ragioni di vita
nei contorni confusi
dei visi
il tuo volto.
Cerco
cercherò
sempre...
di giugno 2013